Triathlon Olimpico Versilia. "Mangio Troppa Cioccolata!". Il racconto di Francesco.
27-10-2022 08:39 - Triathlon, Bike, Duathlon, Aquathlon, Nuoto per Tri, etc
MANGIO TROPPA CIOCCOLATA
“Tra gli amici e l’atmosfera… mangio troppa cioccolata… io che in ogni cosa che faccio ci metto l’anima…” (Un amore da favola – Giorgia – 1997)
Lo sport è la mia cioccolata, più ne pratico e più ne vorrei praticare, da solo o meglio tra gli amici che rendono più bella e completa l’atmosfera, io che amo lo sport eche in ogni cosa che faccio cerco di metterci l’anima. Il debutto nel Triathlon Olimpico della Versilia è stato la naturale conclusione di un percorso che negli ultimi mesi mi ha visto prendere parte a gare di swimrun, acquathlon, duathlon e triathlon sprint, mancava la ciliegina sulla torta, il battesimo definitivo nella Triplice. Che ovviamente è arrivato seguendo le orme, l’esempio, la strada maestra tracciata dalle campionesse e dai campioni della nostra squadra: Paola, Raffaella, Angela, Guia, Andrea, Valtere, il Presidente, Nicola, Marco e tanti altri ancora… Inoltre c’era stata la chiamata alle armi da parte di Andrea Maggini, dopo la disastrosa esperienza organizzativa dello sprint di Tirrenia di una settimana fa, e quando il Presidente chiama non puoi che rispondere Pres(id)ente! PRESENTE! La mia gara inizia all’alba delle sei, quando ancora il cielo è cupo e per non fare troppo rumore finisco di preparami seduto sul poggiolo di casa dove nel mentre che finisco di calzare le scarpe (non quelle da gara) due fasci di luce illuminano la strada di casa. Sono i fanali rinnovati della macchina di mia moglie con alla guida il mio primogenito che vedendomi sulle scale ingenuamente ha creduto che fossi lì ad aspettare il suo rientro, stile il suocero di Aldo Giovanni e Giacomo nel film “Tre uomini e una gamba”. Poi non so cosa abbia pensato vedendomi caricare borsa e bicicletta sulla mia macchina. Gli ho detto con lo sguardo e senza proferire verbo: “vai a dormire che è presto, papà ha ben altre cose a cui pensare, deve andare a conquistare il suo primo Olimpico”. Partenza e arrivo senza traffico alcuno a Marina di Pietrasanta dove, ritirato il pacco gara, addobbata bicicletta e casco, vengo assalito dall’ormai consueto mal di pancia. Per fortuna che nei pressi della zona cambio, raggiunta a piedi senza perdermi (ogni riferimento a cose o persone è del tutto non casuale) trovo ad accogliermi un leggero venticello, le prime luci dell’alba e non uno ma ben quattro efficientissimi bagni chimici. Me ne approprio di uno e vi lascio cadere dentro tutti i cattivi pensieri. Uscito dal tunnel del divertimento l’ansia comincia a farsi sentire riflessa nello sguardo di chi comincia a capire che il mare non è proprio accogliente ma non sarà evitabile. Qui l’organizzazione è certosina, perfezionabile ma decisamente un’altra cosa (in positivo) rispetto a quella disastrosa di una settimana prima a Tirrenia. Rivolgo anch’io lo sguardo verso il mare e comincio a pensare alla mia muta… Come reagirà? Così facendo e così pensando dimentico di cospargere le parti delicate (ascelle e giunture) di olio e così il bruciore dell’arsura si farà sentire durante la nuotata e anche dopo. Niente a confronto delle botte subite dagli altri contendenti nella prima parte della frazione di nuoto. Ho infatti la brutta idea di mettermi tra i primi a partire (vai avanti tu che a me vien da ridere, poi tu nasci nuotatore … nuotatore sì ma di acque clorose…) e così mi ritrovo coinvolto in una bolgia disumana di anime perse che rincorrono la prima boa. Laddove si assiste ad uno spettacolo simile a quello di una tonnara, il problema è che tra quei tonni che scalciano e sbracciano senza un perché e come se non ci fosse un domani, ci sono anche io… Lasciata la prima boa alla nostra destra, affrontiamo il tratto più lungo, qui le distanze con gli altri nuotatori si allargano, a parte uno che parte per la tangente e tagliandomi la strada si dirige verso il mare aperto. Non ti curar di loro ma guarda e passa… Così facendo raggiungo anche la seconda, la terza e la quarta boa ponendo fine a questa prima parte di gara. Camminando esco dall’acqua, non ci sono capitani né sirene ad attendermi ma solo gente che corre verso la T1 e comincia a spogliarsi delle mute che indossano. Procedo anche io alla tanto temuta svestizione e l’impresa mi riesce abbastanza velocemente (operazione comunque migliorabile) così parto per la seconda frazione e delicatamente salgo sulla mia bicicletta. Percorrere quaranta chilometri in gara non è come andare a fare la passeggiata domenicale da casa mia al nostro “Gange” di Tirrenia, me ne accorgo subito quando vengo superato da numerose bici professionali condotte da nuotatori ritardatari. Tra questi intravedo la sagoma di Andrea Canale (ma potrebbe essere stata una visione), per fortuna dopo un primo giro in quasi completa solitudine mi ritrovo agganciato ad un gruppo di quattro la cui andatura mi sembra accettabile fino a metà del terzo giro quando decidono di strappare e di lasciarmi sul posto. Le cosce fanno fatica a spingere e solo in questo momento capisco perché i miei compagni di viaggio stavano usando rapporti più agili. Scendo dalla bici e mi avvio nuovamente alla zona cambio per il T2. Cambio le scarpe, poso la bici, scambio il casco con il berretto (porta fortuna donatomi dal mio secondo genito) bevo del magnesio-potassio, parto con una barretta di cioccolata in mano. Mangio troppa cioccolata, riempio la bocca di un sapore amaro (si tratta di cioccolata extra fondente), per fortuna dopo pochi metri incontro quelle braccia che porgono bicchieri colmi di acqua fresca agli atleti, anzi ai triatleti. Sì perché mi ritrovo nell’ultima fase della triplice, i 10 km di corsa finali. Tre giri da percorrere con tanto di cavalcavia da fare ben 6 volte. Mentre lo affronto per la prima volta, con la stanchezza negli occhi mi tornano alla mente i consigli ricevuti durante l’ultima seduta del corso running dove appunto si era parlato della corsa in salita. Incrocio gli sguardi e la fatica di molti compagni di squadra. Ci scambiamo gesti di incoraggiamento, anche un sorriso o una smorfia possono essere di conforto e di aiuto. La corsa aiuta a distendere i muscoli e al secondo passaggio comincio a stare meglio per poi addirittura allungare la falcata nel terzo giro conclusivo dove mi trovo anche nella situazione di dover incoraggiare avversari che si erano arresi alla fatica e camminando si dirigevano verso l’arrivo. Dopo circa cinquantasette minuti di corsa (per niente agile né scattante) l’arrivo mi attende, lo speaker annuncia l’arrivo di Paola Grassini e di un altro atleta del Pisa Road Runner (sono io), ma nelle mie orecchie sento una voce che dice: “FRANCESCO FABBRI SEI OLIMPICO”. Ai pensieri, alla fantasia, alla fatica di questa entusiasmante esperienza si aggiungono due immagini: la prima ho la fortuna di vederla in presa diretta e raffigura ciò che rimane di Andrea, in ciabatte termali che, di ritorno da una meritata doccia fredda post gara, evidenziano una unghia nera (che non sono sicuro lo accompagnerà nel suo prossimo viaggio da maratoneta nella città della Grande Mela); la seconda la vedrò al mio ritorno a casa e ritrae la fenomenale Guia accolta, all’uscita dalla sua frazione nuoto, dal Comandante il quale forse non comprendendo lo spirito della gara la intratteneva non brevemente forse con l’intenzione di invitarla ad un immaginario ballo di fine gara, qualcuno lo ha definito un tentativo di abbordaggio 2.0. Infine, come non raccontare dei profumi della “pasta party” finale (ulteriore riprova di una organizzazione perfetta) al quale si è palesato un ospite indesiderato: un atleta invasato che ha rifiutato il premio pretendendo una medaglia al posto della prevista bottiglia di vino. Episodio poco elegante di cui avremmo fatto tutti a meno ma che non ha per niente intaccato la nostra felicità e la nostra soddisfazione per aver concluso l’Olimpico ed essere diventato a tutti gli effetti triatleta! Ma siccome come detto in principio “mangio troppa cioccolata” ho già fame di nuove avventure e a questo punto il passo successivo quale sarà? Per scoprirlo toccherà aspettare il prossimo reportage! Qui si è contribuito a scrivere una pagina di Storia alla quale sono orgoglioso nonché grato di aver potuto contribuire…
Fonte: Francesco Fabbri
“Tra gli amici e l’atmosfera… mangio troppa cioccolata… io che in ogni cosa che faccio ci metto l’anima…” (Un amore da favola – Giorgia – 1997)
Lo sport è la mia cioccolata, più ne pratico e più ne vorrei praticare, da solo o meglio tra gli amici che rendono più bella e completa l’atmosfera, io che amo lo sport eche in ogni cosa che faccio cerco di metterci l’anima. Il debutto nel Triathlon Olimpico della Versilia è stato la naturale conclusione di un percorso che negli ultimi mesi mi ha visto prendere parte a gare di swimrun, acquathlon, duathlon e triathlon sprint, mancava la ciliegina sulla torta, il battesimo definitivo nella Triplice. Che ovviamente è arrivato seguendo le orme, l’esempio, la strada maestra tracciata dalle campionesse e dai campioni della nostra squadra: Paola, Raffaella, Angela, Guia, Andrea, Valtere, il Presidente, Nicola, Marco e tanti altri ancora… Inoltre c’era stata la chiamata alle armi da parte di Andrea Maggini, dopo la disastrosa esperienza organizzativa dello sprint di Tirrenia di una settimana fa, e quando il Presidente chiama non puoi che rispondere Pres(id)ente! PRESENTE! La mia gara inizia all’alba delle sei, quando ancora il cielo è cupo e per non fare troppo rumore finisco di preparami seduto sul poggiolo di casa dove nel mentre che finisco di calzare le scarpe (non quelle da gara) due fasci di luce illuminano la strada di casa. Sono i fanali rinnovati della macchina di mia moglie con alla guida il mio primogenito che vedendomi sulle scale ingenuamente ha creduto che fossi lì ad aspettare il suo rientro, stile il suocero di Aldo Giovanni e Giacomo nel film “Tre uomini e una gamba”. Poi non so cosa abbia pensato vedendomi caricare borsa e bicicletta sulla mia macchina. Gli ho detto con lo sguardo e senza proferire verbo: “vai a dormire che è presto, papà ha ben altre cose a cui pensare, deve andare a conquistare il suo primo Olimpico”. Partenza e arrivo senza traffico alcuno a Marina di Pietrasanta dove, ritirato il pacco gara, addobbata bicicletta e casco, vengo assalito dall’ormai consueto mal di pancia. Per fortuna che nei pressi della zona cambio, raggiunta a piedi senza perdermi (ogni riferimento a cose o persone è del tutto non casuale) trovo ad accogliermi un leggero venticello, le prime luci dell’alba e non uno ma ben quattro efficientissimi bagni chimici. Me ne approprio di uno e vi lascio cadere dentro tutti i cattivi pensieri. Uscito dal tunnel del divertimento l’ansia comincia a farsi sentire riflessa nello sguardo di chi comincia a capire che il mare non è proprio accogliente ma non sarà evitabile. Qui l’organizzazione è certosina, perfezionabile ma decisamente un’altra cosa (in positivo) rispetto a quella disastrosa di una settimana prima a Tirrenia. Rivolgo anch’io lo sguardo verso il mare e comincio a pensare alla mia muta… Come reagirà? Così facendo e così pensando dimentico di cospargere le parti delicate (ascelle e giunture) di olio e così il bruciore dell’arsura si farà sentire durante la nuotata e anche dopo. Niente a confronto delle botte subite dagli altri contendenti nella prima parte della frazione di nuoto. Ho infatti la brutta idea di mettermi tra i primi a partire (vai avanti tu che a me vien da ridere, poi tu nasci nuotatore … nuotatore sì ma di acque clorose…) e così mi ritrovo coinvolto in una bolgia disumana di anime perse che rincorrono la prima boa. Laddove si assiste ad uno spettacolo simile a quello di una tonnara, il problema è che tra quei tonni che scalciano e sbracciano senza un perché e come se non ci fosse un domani, ci sono anche io… Lasciata la prima boa alla nostra destra, affrontiamo il tratto più lungo, qui le distanze con gli altri nuotatori si allargano, a parte uno che parte per la tangente e tagliandomi la strada si dirige verso il mare aperto. Non ti curar di loro ma guarda e passa… Così facendo raggiungo anche la seconda, la terza e la quarta boa ponendo fine a questa prima parte di gara. Camminando esco dall’acqua, non ci sono capitani né sirene ad attendermi ma solo gente che corre verso la T1 e comincia a spogliarsi delle mute che indossano. Procedo anche io alla tanto temuta svestizione e l’impresa mi riesce abbastanza velocemente (operazione comunque migliorabile) così parto per la seconda frazione e delicatamente salgo sulla mia bicicletta. Percorrere quaranta chilometri in gara non è come andare a fare la passeggiata domenicale da casa mia al nostro “Gange” di Tirrenia, me ne accorgo subito quando vengo superato da numerose bici professionali condotte da nuotatori ritardatari. Tra questi intravedo la sagoma di Andrea Canale (ma potrebbe essere stata una visione), per fortuna dopo un primo giro in quasi completa solitudine mi ritrovo agganciato ad un gruppo di quattro la cui andatura mi sembra accettabile fino a metà del terzo giro quando decidono di strappare e di lasciarmi sul posto. Le cosce fanno fatica a spingere e solo in questo momento capisco perché i miei compagni di viaggio stavano usando rapporti più agili. Scendo dalla bici e mi avvio nuovamente alla zona cambio per il T2. Cambio le scarpe, poso la bici, scambio il casco con il berretto (porta fortuna donatomi dal mio secondo genito) bevo del magnesio-potassio, parto con una barretta di cioccolata in mano. Mangio troppa cioccolata, riempio la bocca di un sapore amaro (si tratta di cioccolata extra fondente), per fortuna dopo pochi metri incontro quelle braccia che porgono bicchieri colmi di acqua fresca agli atleti, anzi ai triatleti. Sì perché mi ritrovo nell’ultima fase della triplice, i 10 km di corsa finali. Tre giri da percorrere con tanto di cavalcavia da fare ben 6 volte. Mentre lo affronto per la prima volta, con la stanchezza negli occhi mi tornano alla mente i consigli ricevuti durante l’ultima seduta del corso running dove appunto si era parlato della corsa in salita. Incrocio gli sguardi e la fatica di molti compagni di squadra. Ci scambiamo gesti di incoraggiamento, anche un sorriso o una smorfia possono essere di conforto e di aiuto. La corsa aiuta a distendere i muscoli e al secondo passaggio comincio a stare meglio per poi addirittura allungare la falcata nel terzo giro conclusivo dove mi trovo anche nella situazione di dover incoraggiare avversari che si erano arresi alla fatica e camminando si dirigevano verso l’arrivo. Dopo circa cinquantasette minuti di corsa (per niente agile né scattante) l’arrivo mi attende, lo speaker annuncia l’arrivo di Paola Grassini e di un altro atleta del Pisa Road Runner (sono io), ma nelle mie orecchie sento una voce che dice: “FRANCESCO FABBRI SEI OLIMPICO”. Ai pensieri, alla fantasia, alla fatica di questa entusiasmante esperienza si aggiungono due immagini: la prima ho la fortuna di vederla in presa diretta e raffigura ciò che rimane di Andrea, in ciabatte termali che, di ritorno da una meritata doccia fredda post gara, evidenziano una unghia nera (che non sono sicuro lo accompagnerà nel suo prossimo viaggio da maratoneta nella città della Grande Mela); la seconda la vedrò al mio ritorno a casa e ritrae la fenomenale Guia accolta, all’uscita dalla sua frazione nuoto, dal Comandante il quale forse non comprendendo lo spirito della gara la intratteneva non brevemente forse con l’intenzione di invitarla ad un immaginario ballo di fine gara, qualcuno lo ha definito un tentativo di abbordaggio 2.0. Infine, come non raccontare dei profumi della “pasta party” finale (ulteriore riprova di una organizzazione perfetta) al quale si è palesato un ospite indesiderato: un atleta invasato che ha rifiutato il premio pretendendo una medaglia al posto della prevista bottiglia di vino. Episodio poco elegante di cui avremmo fatto tutti a meno ma che non ha per niente intaccato la nostra felicità e la nostra soddisfazione per aver concluso l’Olimpico ed essere diventato a tutti gli effetti triatleta! Ma siccome come detto in principio “mangio troppa cioccolata” ho già fame di nuove avventure e a questo punto il passo successivo quale sarà? Per scoprirlo toccherà aspettare il prossimo reportage! Qui si è contribuito a scrivere una pagina di Storia alla quale sono orgoglioso nonché grato di aver potuto contribuire…
Fonte: Francesco Fabbri