22 Dicembre 2024

Il mio primo anno nel Pisa Road Runners di Massimo Gobbino. Un poker di Ultra Toscane!

IL MIO PRIMO ANNO NEL PRRC — UN POKER DI “ULTRA” TOSCANE

Mi sono sempre definito uno sportivo. In gioventù il mio essere sportivo si traduceva nel passare ore ed ore sul divano a guardare in TV ogni sorta di competizione, dal calcio alla Formula 1, dal ciclismo al canottaggio, ma nulla di praticato. Tra i 40 ed i 50, visto anche il peso che continuava a crescere per via di un’innata passione per tutto quello che è enogastronomia, ho iniziato pian piano a sostituire ogni minuto di sport in TV con un minuto di sport praticato all’aria aperta, fino ad arrivare in breve tempo alla sostituzione totale. In quegli anni, pian piano, mi sono avvicinato alla corsa, passando per il ciclismo. Diciamolo chiaro: a me correre non piace, ma alla fine è il metodo più efficiente per tenersi in forma con il minimo investimento in termini di tempo. L’umore e la forma fisica ne hanno giovato parecchio.

Da lì in poi penso di aver seguito l’iter classico di ogni runner: i primi 10k corsi di fila, la prima mezza maratona, la prima maratona conclusa strisciando, la prima maratona conclusa correndo. Poi sono arrivati un infortunio (distorsione alla caviglia rimediata al 3 province, aggravata dall’aver proseguito per 12 km) e qualche dolore che mi ha costretto a periodi di stop, ma comunque in quel periodo c’era l’entusiasmo dei tempi che miglioravano ogni volta che indossavo il chip. Infine ho iniziato a pormi degli obiettivi cronometrici: nulla di ambizioso, data l’età e l’inizio tardivo, ma ci sono comunque quelle “cifre tonde” sotto le quali vorresti scendere. Ho guardato un po’ in internet, cercando di capire come allenarmi, ed alla fine con 3 allenamenti alla settimana sono riuscito a realizzare i PB che volevo sulla mezza e sulla maratona.

Che fare a quel punto? Allenarsi molto di più per migliorare di pochi minuti o secondi un personale? Nah, tanto più che le cifre tonde successive sono irraggiungibili! Appendere le scarpe al chiodo? Sarebbe comodo ma, come ho letto da qualche parte in internet, ad una certa età si è troppo vecchi per potersi permettere il lusso di non allenarsi (e continuare a stare bene).
In cerca di motivazione, ho valutato la possibilità di iscrivermi ad una società sportiva. Ci avevo già pensato prima, ma mi ero fatto l’idea che le società sportive fossero riservate ai veri atleti, quelli super competitivi che vanno come minimo sotto i 4:00 al km e si allenano 6 volte la settimana. Poi mi hanno spiegato che nelle società c’è di sicuro anche questo, ma non c’è solo questo. E così a inizio 2023 mi ritrovo nel PRRC, grazie anche alla pressante pubblicità di una socia che mi parlava in maniera entusiasta del gruppo ad ogni occasione utile (e aveva ragione).

Che fare in questa stagione? Complice qualche piccolo dolore ad un tallone, che diventa più fastidioso negli allenamenti brevi e veloci rispetto a quelli lenti e lunghi, decido di prediligere le distanze lunghe. Premetto che dal mio punto di vista una ultra è più facile di una maratona, almeno se la si affronta con il mio spirito, per tutta una serie di ragioni che ci vorrebbe un articolo intero per spiegare.

Quello che segue è il resoconto delle 4 ultra a cui ho partecipato nel 2023, scritto nella speranza di fare cosa gradita a chi fosse interessato a provare qualcuna di queste esperienze (tutte prevedono anche distanze minori, ma io farò sempre riferimento alla distanza regina).

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Terre di Siena (26 Febbraio 2023, 50 km, D+ 966, con partenza ed arrivo a Siena).

Si tratta di una gara che ho già fatto nel 2020, anche se su un percorso leggermente diverso (allora si partiva da San Gimignano per arrivare a Siena). Quell’edizione non la potrò mai dimenticare. La gara si disputò domenica 23 febbraio 2020, e due giorni prima era stato scoperto il primo caso di Covid in Italia. Fu l’ultima gara che si riuscì a svolgere prima dei vari lockdown. Tornare a Siena, dove tutto si era fermato, per me vuol dire anche la speranza che le cose siano finalmente tornate come prima.

In quei giorni non sono al top della forma. Nelle settimane precedenti sono stato all’estero, per cui affronto la gara senza una preparazione adeguata, ed in particolare senza aver mai fatto dei lunghissimi oltre i 30 km. La affronto quindi con l’obiettivo di arrivare al traguardo correndo, ma senza strafare, perché per me si tratta solo della prova generale in vista dell’evento del mese successivo, di cui parleremo dopo.
Purtroppo, già dalla settimana precedente le previsioni meteo non lasciano dubbi. Dopo l’inverno più secco del secolo, pare che quel giorno finalmente pioverà, e parecchio. Come se non bastasse, arriveranno in giornata dei venti siberiani che porteranno temperature glaciali e forse pure la neve. Di questo si parla la sera prima con le altre Aquile partecipanti, quando ci si incontra per la foto di rito in piazza del Campo.

Il mattino dopo le previsioni si rivelano azzeccate! L’albergo in cui alloggio è pieno di runner, e a colazione si dibatte su come vestirsi, visto che pare che si partirà con 9 gradi per arrivare con 4. Io che di solito vado via leggerissimo opto per una maglietta maniche lunghe, con sopra un doppio sacco della spazzatura per proteggersi dalla pioggia. Devo dire che funziona abbastanza. Nonostante la pioggia non smetta un attimo, e a tratti sia torrenziale, non posso dire di aver davvero patito.
Il percorso è un continuo sali-scendi, alcuni tratti sterrati sono ridotti ad un pantano e vanno affrontati praticamente camminando. Stessa cosa per alcune discese su asfalto che risultano scivolose, ed io non sono un gran discesista, per usare un eufemismo. Nota di merito per l’ingresso a Monteriggioni, spettacolare come sempre, e per il ristoro al km 43, dove c’è pure la grappa. In una giornata come questa un goccetto ci vuole proprio, almeno per quelli che se la prendono comoda come me. Sarà la grappa, ma riesco a correre tutta la salita finale verso Siena e anche negli ultimi km in città fino all’arrivo in piazza del Campo. A proposito, per chi la volesse fare, un particolare va segnalato sicuramente: quando nel finale si entra in città da Porta Camollia, uno pensa che sia finita, ma non è così! Inizia un lungo giro dei quartieri, ehm delle contrade, tutto salite e discese, che sembra non finire mai.

La giornata si conclude la sera al ristorante tra fegatelli, pappardelle al ragù di cinta senese, bistecca gigante e dolci tipici, illudendosi di poterselo permettere “per recuperare”.

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Chianti trail (25 Marzo, 103 km, D+ 4200, con partenza ed arrivo a Radda in Chianti)

Non ho mai corso un trail in vita mia, per lo meno ufficialmente con il chip. Lo so, forse qualcuno starà pensando che esordire con un trail di oltre 100 km non è cosa saggia. Lo pensano anche al ritiro pettorale, quando devo farmi spiegare cos’è la “base vita” a cui si può spedire una sacca, suscitando non pochi sorrisini. Ma le scelte conservative non fanno al caso mio. Ovviamente i miei tre obiettivi in questo caso sono abbastanza minimalisti. Primo: non farsi male. Secondo: arrivare entro il tempo massimo, camminando ad un ritmo costante senza crollare nel finale. Terzo: non avere dolori o fastidi importanti nei giorni successivi.

Mi aspetto una camminata lunga ma tutto sommato piacevole. In fondo, il sito internet presenta immagini bucoliche di strade bianche in mezzo alle vigne, con fantastici castelli sullo sfondo. Mi dico: che sarà mai? Penso ad un 3 province impegnativo (tipo quelli che vanno sulla Verruca) da ripetere per 5 volte. Illuso! Quelle immagini si riferiscono ai percorsi “brevi”, fino alla 42k, ma per le distanze lunghe non è così. Il percorso è cattivo per scelta. Gli organizzatori mi spiegheranno poi che i finisher guadagnano dei punti ITRA (io non sapevo nemmeno cosa fossero) con i quali si può aspirare a partecipare a gare più famose e impegnative. Per poter assegnare quei punti, il percorso deve avere certi requisiti di “cattiveria”, sia in termini di dislivello sia in termini di difficoltà del terreno.

E così mi ritrovo in partenza alle 4 del mattino nel centro di Radda. Lo speaker è un tipo spettacolare, che pare noto nel settore. A torso nudo e con un buffo gonnellino suona la gran cassa, per la gioia dei residenti, e nel frattempo motiva i partecipanti ripetendo il suo slogan ossessivo fatto di sole 4 parole: non-si-molla-mai! Si parte, e un lungo fiume di runner si butta in discesa sotto l’occhio vigile del drone di turno. Io cammino comodamente nelle retrovie, anzi mi metto a chiacchierare con il tipo del servizio scopa. Sarà lui a spiegarmi che non puoi permetterti di camminare, perché poi arrivano i tratti difficili e le salite, e un minimo di margine te lo devi prendere. Capito, meglio corricchiare nei falsopiani per mettere un po’ di fieno in cascina. Al primo ristoro, dopo 10 km, transito terzultimo. Almeno i ristori sono ottimi ed abbondanti: parmigiano, affettati, dolci di tutti i tipi, frutta, barrette energetiche ed integratori vari, bevande calde e fredde. Più avanti ci sarà pure la pasta. Al 35-esimo parte la prima salita cattiva di 10 km, quella che porta a Monteluco. In effetti è dura, e si vedono i primi runner in difficoltà. Al ristoro in cima mi offrono pure lo spritz, ma viste le difficoltà del terreno devo a malincuore declinare l’offerta. Meno male, perché la successiva discesa verso Gaiole in Chianti è davvero difficile, al punto che in alcuni tratti mi devo tenere agli alberi e in un caso pure sedere in terra. Poi magari sono solo io che sono negato per la discesa.

Senza nemmeno un metro di pianura si arriva a Vistarenni, la famosa base vita. Dico tra me e me che ormai siamo ai 2/3 di gara, quindi in fondo tra meno di otto ore sarò arrivato. Sto ancora abbastanza bene, ma i discorsi sentiti strada facendo un po’ mi inquietano. Si fantastica della salita finale, il mitico San Michele, di cui nessuno vuole parlare. A qualche ristoro ci dicono pure che “è meglio che non sappiate prima”. Le strade bianche ed i vigneti sono da tempo un lontano ricordo. Ormai ci sono solo sentieri vagamente tracciati nei boschi, sassi ovunque, pendenze importanti, ruscelli che vanno guadati entrandoci dentro fin sopra le caviglie. Per fortuna le scarpe da trail drenano bene. E infine, verso il km 80, inizia il San Michele. Si sale, decisamente. Buio totale, nel bosco. Gradoni, sassi e fango, tanto fango. Ecco cosa non ci volevano dire. La salita è davvero dura, ma meglio quella che fare lo stesso tratto in discesa, per cui tutto sommato sono contento. Altri sono parecchio in difficoltà, seduti stremati su qualche roccia con la coperta termica addosso. Lo dicevo che partire a razzo alle 4 del mattino non era una buona idea.
Quando arrivo in cima c’è l’ultimo ristoro, e un vento gelido. Mancano 13 km all’arrivo. Penso che sarà discesa, e sono contento nel vedere che per la maggior parte sono strade sterrate, ma non sentieri. Quando vedo le luci di Radda capisco che è fatta. Macché! Basterebbe prendere la strada e si sarebbe al traguardo, e invece siamo costretti a percorrere ogni sentiero intorno al paese, purché pendente e sgarrupato, accumulando altri km e dislivello. Ah già, la solita faccenda dei punti ITRA! E poi finalmente l’arrivo in centro al paese, dove c’è ancora lo speaker con il gonnellino che acclama festante ogni arrivo, sempre per la gioia dei residenti.

Obiettivi centrati: sono arrivato con quasi 2 ore di anticipo sul tempo massimo, sto abbastanza bene e non avrò problemi nei giorni successivi. Alla fine sono 165-esimo su 240 pettorali, da terzultimo che ero, grazie alle salite ma soprattutto ai molti ritiri. Gran bella esperienza, ora ho qualcosa da raccontare sul sito del PRRC. Piccolo mistero: curiosando su ENDU scopro che ci sono dei runner che sono arrivati un’ora prima di me, pur essendo transitati in cima al San Michele un’ora dopo di me. Apparentemente ci hanno messo 45 minuti per percorrere l’ultimo tratto, dove io ho impiegato quasi 3 ore e il vincitore un’ora e mezza.

Ci tornerò? All’arrivo ho dichiarato a mezzo mondo che questo era stato il mio primo e ultimo trail. In salita mi diverto e penso anche di difendermi bene, ma il problema sono le discese: lì ci vuole tecnica e coraggio di andare. Io non ho nessuno dei due, e penso che sia tardi per procurarseli. Poi mai dire mai.

Voglio però concludere il resoconto di questa gara parlando del vincitore, un ragazzo giapponese di nome Junsuke Mizuno, che ha anche polverizzato il record degli anni precedenti. Lui alloggia al mio stesso albergo: lo scopro il mattino successivo a colazione quando vedo che molti runner vanno a complimentarsi con lui (io ovviamente non lo conoscevo prima, essendo arrivato al traguardo 9 ore dopo di lui). Fatto il selfie di rito, lo rivedo un’ora dopo in piazza con sua moglie che provano a fare l’autostop per Firenze. Nessuno aveva detto loro che la domenica da Radda in Chianti non ci sono mezzi pubblici! Mi offro di dare loro uno strappo fino ad Empoli, da dove potranno proseguire in treno. In auto abbiamo occasione di parlare un pochino. Scopro che insegna inglese (il che rende facile la comunicazione) in una scuola giapponese a Nairobi, in Kenia. Si allena per circa 160 km alla settimana (gulp!), la maggior parte dei quali su tapis roulant (doppio gulp!) perché nel quartiere in cui vive non è molto sicuro uscire in orari non centrali, specie se il proprio aspetto non è esattamente confondibile con quello di un locale. Solo la domenica può permettersi delle uscite fuori porta in luoghi più sicuri. La cosa mi fa riflettere parecchio: noi non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo a vivere in Toscana, dove ci possiamo allenare tutto l’anno in tutta sicurezza e in scenari incantevoli.

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Pistoia-Abetone (25 Giugno 2023, 50 km, D+ 1830)

La manifestazione è una grande classica, forse la regina tra le corse in salita. Per allenarmi ho fatto un po’ di Monte Serra su e giù, ma nessun vero lunghissimo, se non diviso su due giorni (tipo 26k pianeggianti il sabato più 3 province collinare la domenica). C’è tanta salita, quindi gioco in casa, o almeno così penso. L’obiettivo è di arrivare, possibilmente entro la prima metà della classifica, e senza crollare nel finale.

Fortunatamente si può ritirare il pettorale in partenza la domenica mattina, e poi prendere il pacco gara all’arrivo, quindi almeno mi risparmio l’albergo. Si respira un’atmosfera vintage. Mi danno un chip con il velcro da indossare alla caviglia: io non lo avevo mai visto prima, e pensavo che fosse la targhetta da mettere alla borsa con il cambio abiti da spedire al traguardo. Per poco non parto senza chip… Anche strada facendo i volontari smarcano a mano i passaggi! Ma allora a che serve il chip?

Dopo la foto di rito con le altre due Aquile partecipanti, pubblicata sulla chat del gruppo con didascalia “sorridenti e rilassati … per ora”, finalmente si parte. La giornata è calda, ma non infernale. I primi km sono quasi di pianura, e come al solito navigo lento nelle retrovie. Poi inizia la prima salita di 9 km verso la località Le Piastre, più o meno un Gran Premio del Vega, per restare in casa. Segue un tratto quasi in piano e poi la lunga, ripida e impegnativa discesa verso San Marcello, traguardo intermedio della 30 km, discesa che prosegue poi ancora fino a La Lima, attacco dell’ultima salita, quella che porta all’Abetone. La salita parte bene, poi inizio ad avere quella sensazione di essere al limite del crampo. Sarà il caldo? Avrò bevuto poco o male ai ristori? O la lunga discesa mi ha spezzato le gambe? Non lo sapremo mai, ma sospetto fortemente che sia colpa dei lunghissimi non fatti in allenamento. In ogni caso, meglio rallentare prima di accasciarsi a terra. Le provo un po’ tutte: prima cammino al sole e corricchio all’ombra, poi corricchio al sole e cammino all’ombra (così l’ombra dura di più), infine sostanzialmente cammino e basta. Si tratta comunque di una camminata abbastanza veloce, che mi permette una gran quantità di sorpassi, visto che in molti da quelle parti si trascinano lentamente da un tornante all’altro. Arrivo in 6 ore e 13 minuti, 347-esima posizione su 793 arrivati, quindi ampiamente nella prima metà. Peccato per quei 13 minuti persi nel finale che non mi permettono di fare cifra tonda.

Ci tornerò il prossimo anno? Non lo so: l’idea mi piace, quei 13 minuti di troppo gridano vendetta, ma un’aspetto negativo devo dire che c’è. Tutta la salita dell’Abetone, che sarebbe fantastica, viene corsa in mezzo al traffico di auto e moto della domenica. Certo per tornare dovrei cambiare la preparazione: per affrontare al meglio questa corsa non bisogna allenarsi facendo una salita lunga, ma facendo una salita lunga dopo aver fatto una discesa ripida.

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Walking Francigena (7-8 ottobre 2023, 120 km (ma sono 125 più errori di percorso), D+ 2870).

Una delle manifestazioni che preferisco. L’ho già fatta nel 2021, quando si partiva da Siena e si percorreva la Francigena passando per Buonconvento, San Quirico, Bagno Vignoni, Gallina, Radicofani, Ponte a Rigo, Proceno, per arrivare finalmente ad Acquapendente. Un percorso lungo e movimentato, ma mai cattivo, che si snoda per lo più lungo strade bianche lontane dal traffico, negli splendidi scenari della Val D’Orcia. Quest’anno gli organizzatori hanno pensato di invertire il verso di percorrenza, per cui si parte da Acquapendente alla volta di Siena. La manifestazione è riservata ai camminatori: per regolamento non si può correre, ai cancelli c’è il tempo massimo di passaggio ma anche quello minimo, non c’è nemmeno una medaglia finisher ma solo un pieghevole di carta in cui vengono apposti dei timbri ai vari passaggi. In compenso ci sono 18 ristori, e i ricordi del 2021 sono ottimi (minestra di farro, salsicce con fagioli, spezzatino, crostate di pasticceria, caldarroste). Insomma, non una gara ma una mangialonga, proprio quello che fa per me.

Come già nel 2021, la affronto con i sandali, e non solo perché il sandalo è decisamente più in linea con la figura del pellegrino medioevale sulla Francigena. Il sandalo può sembrare un azzardo, e suscitare l’ilarità dei meno esperti che fanno le distanze brevi, ma si rivela una scelta vincente. Quest’anno infatti fa caldo, davvero caldo, al punto che alle 3 di notte si sta ancora bene in maglietta. Camminando per più di un giorno di fila il problema è tenere i piedi asciutti, per evitare fastidiose vesciche. Con il sandalo il piede resta sempre asciutto, ed infatti arrivo al traguardo senza nessun problema ai piedi, a differenza di tanti compagni di viaggio costretti al ritiro dalle vesciche.

Al netto delle soste e dei disguidi, ci metto anche molto meno di due anni fa, e soprattutto negli ultimi 10 km di salita verso Siena sto abbastanza bene da innestare il turbo. Poi dopo il traguardo devo correre per 3 km per riprendere il bagaglio in albergo e andare in stazione, ma questo è un altro discorso.

Quali ricordi mi restano? Certamente la notte. Una notte trascorsa camminando è fantastica, e da sola vale il biglietto. Il cielo stellato, la Via Lattea che non vedevo da anni, il buio nel bosco. In certi tratti ho anche spento le luci per godermi la notte. Peccato solo per i ristori che si rivelano una delusione rispetto a due anni fa (organizzatori, siete avvisati, quelli nella seconda metà del gruppo vengono anche, se non solo, per mangiare!).

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La foto dell'arrivo della Walking Francigena è di Foto Around Siena @aroundsiena - Antonio Cinotti @antoncino
La foto all'arrivo della Pistoia-Abetone è del nostro socio Marco Ceccarelli]

Fonte: Massimo Gobbino



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