Stadio Olimpico Cortina: Vale Raffa Andrea
Cortina - Dobbiaco 2014: i 30 km di Andrea Guerrini.
02-06-2014 19:08 - Eventi a cui partecipiamo
Che splendido posto, che gran numero. Che paesaggio. Alla partenza ho giá perso i miei compagni, so giá che dovró correre da solo ma non è questo che mi preoccupa, tempo solo il riacutizzarsi di dolori muscolari che mi hanno lasciato claudicante solo una settimana fa tra le colline pisane. Controllo la salita e mi lascio stupire dalle vette sul percorso, da ogni singolo albero, dai corsi d´acqua, le gallerie e i ponticelli. Sono tutt´uno col paesaggio e decido di godermela, di non guardare i sassi in terra, ma di penzolare a testa in su. La salita neppure la sento, vengo da un infortunio, e non ho provato la gamba per paura che mi bloccasse. Ho fatto tutto il possibile come terapia, ora vedró i risultati, sono qui e ballo. Gestisco piano, non voglio sentire dolore, voglio finirla assolutamente. Sará un giro panoramico, senza forzare, probabilmente in parte camminato, visto che temo che soffriró come a Forcoli.
Cosí passo dopo passo affronto questa natura, questo paesaggio che é funzionale alla mia andatura equilbrata, goduta, ammirata. Non fa freddo, non fa caldo, nella ricerca delle sensazioni che mi dá questa temperatura direi: ideale, proprio come l´arbitro che in una partita di calcio é buono se non si fa notare, cosí anche la temperatura. Certo i primi metri faceva freschino, ma é diventato quasi subito perfetto, come questa salita iniziale, lunga, inesorabile, ma mai cattiva, perfetta, come la vorremmo, nella pendenza e nella sua collocazione ambientale. Si procede in salita, pensando a questa insaziabile macchina che corre sotto di me, dentro di me. Non si sentono le gambe, mi sembra di guidare piú che di correre, ho automatizzato. E penso alla corsa, alla preparazione per questa corsa, a quello che ho sbagliato, quello che ho fatto bene, alla giusta calzatura, ai consigli che do ai miei pazienti ed ai miei atleti. Penso a quanto sia piú meticoloso con loro che con me, penso che vorrei un altra scarpa per correre su questo selciato che mi aspettavo dolce come i sentieri che corro tra quelle verdi distese svedesi in estate, grasse e umide, buone. Piú buone di questi sassi a punta, che peró hanno lo stesso colore e la stessa consistenza delle cime dei monti che mi sorvegliano.
E poi mi distraggo su quelli che sorpasso e mi sorpassano, come nella vita, per arrivare, a corsa, alla fine. Con alcuni si procede in perfetto sincronismo, spalla a spalla per centinaia di metri, chilometri addirittura, e questo ritmo ti incoraggia, ti spinge, e sei cosí sconcertato dal fatto che il passo di un nuovo corridore possa distrarti perché cosi diverso, e se cosí diverso allora si allontana, e resto con quel corridore che corre come me, con me, senza guardarlo, e pensi che quello potrebbe essere un tuo amico, o il tuo amico migliore, quello che vuoi per correre, invece di correre da solo. O la tua compagna per la vita. Ma non abbozzi una parola, forse una battuta, che peró temi possa alterare quest´ordine cosí casuale eppur perfetto. La corsa peró si corre da soli, ognuno nel suo corpo, nella sua sofferenza e nella sua gioia, al suo ritmo, e i compagni sono casuali, provvisori, se non cercati.
Disciplina, dici, disciplina, registra, libera, resisti, questa differenza ti fa arrivare alla fine del tuo giorno di lavoro senza smarrimento, alla fine della settimana senza debolezze, preciso, forte, resistente, concentrato, e sai che é la corsa che ti ha dato questa forza. Se hai un pensiero te lo circoscrive in una bolla, lo puoi guardare, analizzare, risolvere, senza che ti prenda e non ti molli piú. Sei liscio, freddo, non ti deprimi nella delusione e controlli la gioia senza isterismi. Ma in un trail come la Cortina-Dobbiaco ci sono dei rischi: credo che il rischio maggiore nel trail di questo tipo, a contatto con questa splendida natura, sia lasciare che la tua parte piú istintiva e animale prenda il sopravvento e ti spinga in modo irrazionale. Al 18´ km veramente lascio andare, pensando ad arrivare il prima possibile, come inseguito da un orso bruno, mollo la mia gestione, la mia paura, penso che la finiró davvero questa corsa. Come se si comincia da qui, come una partita di caccia in cui sono io la preda e la salvezza non possa arrivare che al 30´ km. Ho mollato, ma non ho solo rotolato giú, ho aumentato, come su quelle lunghe ripetute in cui vuoi chiudere la strada che ti precede e smetti di guardare il gps costantemente perché stai cosí bene che puoi fare qualche metro in piú senza schiantare. I corridori che mi precedono diventano birilli da dribblare, e l´unico problema è dove superare e con quali traiettorie. Vado avanti cosí come se non ci fosse un domani, come se questa corsa potesse finire cosí, esaltante e in aumento costante. Sono a 4:15 ma potrei accellerare, una parte di me mi impedisce di farlo. Ma al 27´ km sono una 500 che non tiene la strada, i muscoli si sono coperti di una lassa pesante e appiccicosa, e piano piano sono diventati una muta da surf. Il ginocchio destro urla, il gemello sinistro piange, e l´orso non c´é piú dietro di me. Al 27´, ho pensato, ho sbagliato di soli 3km, se rallento a 5 al km dovró resistere solo 15 minuti. Ma 15 minuti sono lunghissimi e i km segnalati stranamente non sono piú segnalati come prima, qualcuno li ha spostati. È una crisi, capita, ce ne sono tante nelle corse lunghe, o anche in quelle piú brevi in cui spingi alla follia per un piccolo record personale. La crisi nella corsa ti fa passare da superman ad un looser in un nanosecondo. È in questo momento che comincia la tua gara con la fatica o il dolore. Devi capirti, leggere il tuo dolore e capire se é gestibile, puoi fermarti al ristoro e vedere che succede se cammini 30 metri mentre bevi, se fai un pó di stretching, e poi ripartire incrampato e dolorante ma il dolore é diverso, si é attenauto, pare gestibile. La fatica la puoi tollerare, il dolore pure, ma è diverso, temi sempre che sia un dolore che puó portarti ad una lesione.
All´ultimo km ci dicono, forza siete sotto i 2:30, e questa frase sembra darmi un sussulto che cerco di trasferire al mio ritmo di corsa, ma il tutto si traduce in un movimento sguaiato e disordinato che non va nel senso dell´avanzamento, sembro la mia bmw ma quando é ferma al semaforo e fa partire un cilindro di qui e uno di lá, si sposta a sinistra e a destra senza avanzare. quando mi fanno la foto la faccia magnum che cerco di dissimulare lascia il posto al pensiero di una posizione ancora piú squilibrata del possibile, tutta compensata dai dolori. Penso che camminando forse riuscirei a camminare quasi naturale, e in corsa adesso non avanzo bene, uso le braccia, le spalle, le mani per spingermi.
Quando vedo il traguardo il mio movimento elissoide si avvolge ulteriormente ma tutte le forze che ho saranno per questi metri finali dove la gente ti spinge e tu manco la guardi, come se non fossero per te quegli incitamenti, e invece pensi proprio che lo siano mentre crolli sotto il traguardo.
Fonte: Andrea Guerrini
Cosí passo dopo passo affronto questa natura, questo paesaggio che é funzionale alla mia andatura equilbrata, goduta, ammirata. Non fa freddo, non fa caldo, nella ricerca delle sensazioni che mi dá questa temperatura direi: ideale, proprio come l´arbitro che in una partita di calcio é buono se non si fa notare, cosí anche la temperatura. Certo i primi metri faceva freschino, ma é diventato quasi subito perfetto, come questa salita iniziale, lunga, inesorabile, ma mai cattiva, perfetta, come la vorremmo, nella pendenza e nella sua collocazione ambientale. Si procede in salita, pensando a questa insaziabile macchina che corre sotto di me, dentro di me. Non si sentono le gambe, mi sembra di guidare piú che di correre, ho automatizzato. E penso alla corsa, alla preparazione per questa corsa, a quello che ho sbagliato, quello che ho fatto bene, alla giusta calzatura, ai consigli che do ai miei pazienti ed ai miei atleti. Penso a quanto sia piú meticoloso con loro che con me, penso che vorrei un altra scarpa per correre su questo selciato che mi aspettavo dolce come i sentieri che corro tra quelle verdi distese svedesi in estate, grasse e umide, buone. Piú buone di questi sassi a punta, che peró hanno lo stesso colore e la stessa consistenza delle cime dei monti che mi sorvegliano.
E poi mi distraggo su quelli che sorpasso e mi sorpassano, come nella vita, per arrivare, a corsa, alla fine. Con alcuni si procede in perfetto sincronismo, spalla a spalla per centinaia di metri, chilometri addirittura, e questo ritmo ti incoraggia, ti spinge, e sei cosí sconcertato dal fatto che il passo di un nuovo corridore possa distrarti perché cosi diverso, e se cosí diverso allora si allontana, e resto con quel corridore che corre come me, con me, senza guardarlo, e pensi che quello potrebbe essere un tuo amico, o il tuo amico migliore, quello che vuoi per correre, invece di correre da solo. O la tua compagna per la vita. Ma non abbozzi una parola, forse una battuta, che peró temi possa alterare quest´ordine cosí casuale eppur perfetto. La corsa peró si corre da soli, ognuno nel suo corpo, nella sua sofferenza e nella sua gioia, al suo ritmo, e i compagni sono casuali, provvisori, se non cercati.
Disciplina, dici, disciplina, registra, libera, resisti, questa differenza ti fa arrivare alla fine del tuo giorno di lavoro senza smarrimento, alla fine della settimana senza debolezze, preciso, forte, resistente, concentrato, e sai che é la corsa che ti ha dato questa forza. Se hai un pensiero te lo circoscrive in una bolla, lo puoi guardare, analizzare, risolvere, senza che ti prenda e non ti molli piú. Sei liscio, freddo, non ti deprimi nella delusione e controlli la gioia senza isterismi. Ma in un trail come la Cortina-Dobbiaco ci sono dei rischi: credo che il rischio maggiore nel trail di questo tipo, a contatto con questa splendida natura, sia lasciare che la tua parte piú istintiva e animale prenda il sopravvento e ti spinga in modo irrazionale. Al 18´ km veramente lascio andare, pensando ad arrivare il prima possibile, come inseguito da un orso bruno, mollo la mia gestione, la mia paura, penso che la finiró davvero questa corsa. Come se si comincia da qui, come una partita di caccia in cui sono io la preda e la salvezza non possa arrivare che al 30´ km. Ho mollato, ma non ho solo rotolato giú, ho aumentato, come su quelle lunghe ripetute in cui vuoi chiudere la strada che ti precede e smetti di guardare il gps costantemente perché stai cosí bene che puoi fare qualche metro in piú senza schiantare. I corridori che mi precedono diventano birilli da dribblare, e l´unico problema è dove superare e con quali traiettorie. Vado avanti cosí come se non ci fosse un domani, come se questa corsa potesse finire cosí, esaltante e in aumento costante. Sono a 4:15 ma potrei accellerare, una parte di me mi impedisce di farlo. Ma al 27´ km sono una 500 che non tiene la strada, i muscoli si sono coperti di una lassa pesante e appiccicosa, e piano piano sono diventati una muta da surf. Il ginocchio destro urla, il gemello sinistro piange, e l´orso non c´é piú dietro di me. Al 27´, ho pensato, ho sbagliato di soli 3km, se rallento a 5 al km dovró resistere solo 15 minuti. Ma 15 minuti sono lunghissimi e i km segnalati stranamente non sono piú segnalati come prima, qualcuno li ha spostati. È una crisi, capita, ce ne sono tante nelle corse lunghe, o anche in quelle piú brevi in cui spingi alla follia per un piccolo record personale. La crisi nella corsa ti fa passare da superman ad un looser in un nanosecondo. È in questo momento che comincia la tua gara con la fatica o il dolore. Devi capirti, leggere il tuo dolore e capire se é gestibile, puoi fermarti al ristoro e vedere che succede se cammini 30 metri mentre bevi, se fai un pó di stretching, e poi ripartire incrampato e dolorante ma il dolore é diverso, si é attenauto, pare gestibile. La fatica la puoi tollerare, il dolore pure, ma è diverso, temi sempre che sia un dolore che puó portarti ad una lesione.
All´ultimo km ci dicono, forza siete sotto i 2:30, e questa frase sembra darmi un sussulto che cerco di trasferire al mio ritmo di corsa, ma il tutto si traduce in un movimento sguaiato e disordinato che non va nel senso dell´avanzamento, sembro la mia bmw ma quando é ferma al semaforo e fa partire un cilindro di qui e uno di lá, si sposta a sinistra e a destra senza avanzare. quando mi fanno la foto la faccia magnum che cerco di dissimulare lascia il posto al pensiero di una posizione ancora piú squilibrata del possibile, tutta compensata dai dolori. Penso che camminando forse riuscirei a camminare quasi naturale, e in corsa adesso non avanzo bene, uso le braccia, le spalle, le mani per spingermi.
Quando vedo il traguardo il mio movimento elissoide si avvolge ulteriormente ma tutte le forze che ho saranno per questi metri finali dove la gente ti spinge e tu manco la guardi, come se non fossero per te quegli incitamenti, e invece pensi proprio che lo siano mentre crolli sotto il traguardo.
Fonte: Andrea Guerrini